06.12.2009 by Roberta
È tempo di farina dolce
Un po’ di tempo fa una signora mi disse che da quando è mancato il
Biondo, in montagna non si è più assaggiata una farina di castagne
buona come quella che faceva lui. Non lo so se è così per tutti,
sicuramente lo è per me. La farina dolce del nonno aveva un sapore
speciale, datole dall’amorevole cura e dalla continua dedizione che
lui aveva nel produrla, dalla raccolta delle castagne con le pinze di
legno e la bogia fino alla tostatura nel forno del paese scaldato
rigorosamente con sola legna di castagno, e poi via al mulino a
macinare. Se chiudo gli occhi riesco a sentirlo il suo profumo
uscire dal cassone di legno, riesco a sentire in bocca quel dolce sapore
da far invidia alla cioccolata più buona, riesco a rivedere le corse
che con la mia sorella facevamo ogni volta che il cassone si apriva per
prenderne almeno un pizzicotto. In casa Lelli la farina di castagne
è un’istituzione, o meglio un piacere, che ogni anno ancora si
rinnova grazie alle mani del babbo e di chi insieme a lui ha raccolto la passione del nonno, allora il mio grazie va a loro, perché quando arriva la farina nuova per me è una grande festa, proprio come quando ero piccina.
ELISA
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18.09.2009 by Roberta
…Non tutti gli amici che ci leggono sono in grado di procurarsi La Nazione con la provincia di Arezzo, per tanto è con grande piacere che inseriamo nella nostra gazzetta un articolo con “ Ricordi di storia” del nostro amico Enzo Brogi pubblicato in prima pagina su La Nazione di oggi 18 settembre 2009.
MIO BABBO era un mugnaio, come il suo babbo e come il babbo del suo babbo, mulino ad acqua sul Ciuffenna. Mia mamma famiglia di pastori transumanti, dal Pratomagno alla Maremma e viceversa, ciò accadeva con l’arrivo della primavera e con l’abbandono dell’estate. Mio babbo era socialista e la domenica, calzoni alla zuava, andava al circolo Enal di San Clemente in Valle per incontrar gli amici, bere, discuter di politica e la sera magari a ballar la Quadriglia. Mia mamma diceva che il voto era segreto, alla domenica andava alla Messa, poi la passeggiata su su per la stradina di Poggio di Loro con le amiche, vestite a festa, a chiacchierar di sogni ed avventure e la sera magari a ballar la Quadriglia. Fu così che si incontrarono. Fu da ciò che qualche tempo dopo io nacqui. Gente semplice, di montagna. La nostra casa era piccina, ma aveva un salottino: vetrina con le trine alle mensole con sopra esposti i bicchieri e le stoviglie “buone”, quelle del matrimonio, madia, tavola di legno e seggiole impagliate, una luminosa porta finestra che dava sul terrazzino con gabinetto esterno. Alle pareti due quadri, stessa altezza, stessa dimensione, stessa cornice dorata l’immagine di nonno Lorenzo in divisa del 69 Reggimento Fanteria, medaglia al valore, pare caduto ad Oslavia il 15 novembre del 1915. Nella seconda, una pagina de La Nazione con al centro una foto di due signori a cavallo e alle spalle la imponente croce in acciaio che sta in vetta al Pratomagno. Uno dei due era nonno Cesare detto il Chiappino. Nell’articolo si raccontava dell’inaugurazione della croce, presenti autorità, vescovo, la famiglia Ricasoli. Era l’agosto 1928. Nonno Chiappino era lì raffigurato e si parlava di lui, quale proprietario degli enormi pratoni dove pascolavano le sue pecore e i suoi cavalli, per aver dato gratuitamente l’area. Quella è l’immagine che ho io del giornale, la mia prima copia de La Nazione. Per me e i miei cugini, per noi La Nazione era «il giornale del nonno» . Con il boom economico, tutti abbandonarono le campagne, il Pratomagno si svuotò e il mio babbo, rimasto a macinare la miseria, ci portò tutti in Liguria. Era diventato ferroviere. In quella regione i quotidiani più diffusi erano altri, ma ricordo bene e con affetto che la domenica mattina, il babbo mi chiedeva di andare a comprare La Nazione. Mi mandava sotto casa, con 50 lire, dicendomi sempre con orgoglio, vai a prendere il giornale del nonno!
Enzo Brogi, per i 150 anni de La Nazione
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